martedì 7 ottobre 2008

Così sono trascorsi gli anni migliori- Il libro di Eno Santecchia

Eno Santecchia che ha già inviato in passato dei contributi interessanti da pubblicare, ci ha fatto avere una copia del suo libro "Così sono trascorsi gli anni migliori" (Lavoro Editoriale).

Andrea Bianchi, che ringraziamo, lo ha letto per noi.

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Figlio mio sono contento che sei tornato, ma avete perso tutto”. Con queste parole veniva accolto chi era appena tornato dai tormenti della guerra e della prigionia. In esse si rinchiudeva l’impossibile abbraccio tra chi patendo la vita grama era rimasto con chi invece, miracolosamente, era tornato a casa. Da questo dolore represso con forza d’animo è ricominciato il cammino di chi ha ricostruito un paese distrutto dall’assurdità del Regime, un percorso costellato di queste “minuscole” vite che si affacciano come stelle cadenti nel cielo della Storia, fatta con i suoi grandi personaggi e le loro avventure da raccontare. Vicende lontane nel tempo che mantengono intatta la forza del monito affinché non accada più. “Avevamo vent’anni siamo stati mandati a soffrire e morire in tutto il mondo contro altri giovani come noi, e al ritorno tutto era più difficile” ricorda con durezza quanto è ingiusto giocare con le speranze dei giovani e far patire loro i nostri errori, privandoli degli anni migliori.

Un percorso di vita che si snoda dalle dolci colline marchigiane alle sabbiose dune della Libia, colonia dell’Impero, per finire nei campi di prigionia in India. La brutale scoperta della propria impotenza di fronte alla forza del nemico, nascosta dalla propaganda che decantava oltremodo le dotazioni dell’Esercito Regio. Amarezze e delusioni che nulla tolsero all’ardore, al coraggio e all’eroico impegno dei nostri soldati, al contrario di quanto si sia detto o scritto a sproposito. Quei ragazzi che possono essere stati i nostri padri o i nostri nonni, “uomini dalla tempra eccezionale, abituati a resistere alla fame, sete e freddo, alle privazioni e alle malattie”, ci ricordano un passato a prima vista poco edificante di cui non andar fieri, ma che è comunque la si voglia vedere, parte della memoria del nostro Paese. Nicola Santecchia, lontano da casa per oltre sei anni di guerra prima, e dura prigionia dopo, ci rammenta col suo modo di fare che anche in condizioni avverse e lontano dai propri affetti non si perde la dignità, anzi la si difende con l’onore e il sacrificio del decoro della propria anima e spirito, l’orgoglio del lavoro seppure per il nemico, quando invece “alcuni oziavano nel modo più assoluto, diventando esseri apatici, (che) non si interessavano di nulla e si abbruttivano sempre di più. Questi prigionieri furono quelli che subirono i danni psicologici maggiori”.

Episodi brutali come il giovane ucciso all’assalto del grano all’ammasso a Colmurano nella primavera del 1944, oltre al sacrificio dei giovani Glorio della Vecchia, Giovanni Fornari e Guido Pacioni, tutti ventenni o poco più, sfatano il mito della “mitezza” del Regime Fascista che da tempo oramai si va affermando sempre più nell’opinione pubblica per bocca di improvvidi politici o in malafede o poco avvezzi ai libri di Storia, smascherando le orrende malefatte dei camerati nella provincia di Macerata. Una memoria da mantenere viva per non ripetere mai più gli stessi errori. Alla domanda frequente che tormentava quei ragazzi, reduci di guerra, sulla via di ritorno a casa, “come sarà ridotta l’Italia dopo i bombardamenti, dopo l’invasione tedesca, dopo la guerra civile e tutto il resto”, essi seppero rispondere nel miglior modo più semplice possibile, dando il proprio concreto contributo in prima persona, come sempre avevano fatto. Un insegnamento per le generazioni future per affrontare le difficoltà della vita, riscoprendo l’esempio dei propri genitori e nonni.

Colpisce leggendo questo libro, la formidabile parabola di un uomo che a bordo della Strathaird, dopo un lungo viaggio dal 1 agosto 1946 da Bombay al 22 agosto a Napoli, conclude un’esperienza unica e straordinaria che senza snaturare la sua natura di individuo che “odiava l’ozio e il perder tempo inutilmente”, lo porta a “sentirsi vivo” anche lontano dall’amata famiglia, rendendosi comunque utile. Sta proprio qui nel tratto tipicamente marchigiano della laboriosità del Santecchia, la “familiarità” di questo libro, come fosse l’esperienza del nonno e del padre di ognuno di noi. Un’avventura incredibile a dimostrazione che anche la più nota delle vicende storiche nasconde, come in un grosso baule, una miriade di “minuscole” esperienze umane che sebbene più esposte all’oblio, nulla hanno da invidiare alle mirabili gesta tramandate dei grandi personaggi della Storia, che pure qui nel racconto non mancano.

Andrea Bianchi

by giovi

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