venerdì 12 ottobre 2007

Mannequins and true colors

“…Che le arti siano l’unione fra tutti gli uomini. Esse siano un anello di una grande catena di amore per ricostruire un modello degradato, senza più il senso della vita. Esse saranno il collante della frammentazione di tante cose perdute: sapienza, speranza, amore, sentimenti….” Parafrasando Rodolfo Gentili da Macerata osservo con rinnovato stupore l’”Omaggio alle arti” tela del 1983, tanto tempo fa, un’altra vita. Un sipario che si apre allo spettacolo della natura e delle arti in tutte le sue espressioni. Il cielo e il mare sono inquietanti e minacciosi ma all’orizzonte si scorge quella forse meritata quiete dopo la villania della vita. Ed è per questo che attorno all’arte c’è solo il nulla del deserto. “…Che le arti siano l’unione fra tutti gli uomini..” un augurio, una speranza dettata dall’intima convinzione che soltanto qualcosa di sovrumano riesca come un puparo a tenere i fili delle bizze di un’umanità senza più ritegno. L’arte come linguaggio universale che supera steccati e discrasie in cui rifugiarsi per non perdere la propria identità. Ma è proprio la fallace convinzione di “avere” che ci impedisce di guardare con lo stupore e l’innocenza di un bambino la meraviglia di quanto ci appare. L’arte come messaggio di una buona novella che ci annuncia la possibilità di redimersi e amando il bello, di salvarsi. E se l’arte in fondo non fosse altro che il distillato di quel senso di perfezione perduto? Se non fosse una remota reminiscenza di una grandezza vissuta e mai dimenticata? “…Esse siano un anello di una grande catena di amore per ricostruire un modello degradato, senza più il senso della vita…” come fa capire bene l’artista siamo tutti insieme e nessuno di noi deve sentirsi escluso o sopra gli altri, dobbiamo condividere il peso della sconfitta ma anche la leggerezza lieve della speranza negli uomini di buona volontà capaci di ricostruire un mondo nuovo, diverso e sicuramente migliore. Il vero peccato è quello di non fermarsi a guardare e accettare l’ineluttabilità della perdita di quanto ci è più caro. L’arte come anello di congiunzione, come maniglia di appoggio, salda presa per opporsi alla forza centripeta di questa forsennata corsa verso il nulla. Ci piace immaginare l’artista come colui che per primo ha “osato” uscire dalla caverna di plutoniana memoria per aprire agli occhi dell’umana gente il fascino del mistero della vita. Una torcia, una luce seppur fioca e circoscritta per infrangere il tabù dell’oscurità. A modo suo ogni scoperta che ha “illuminato” l’umanità è frutto di un artista che magari ha dedicato una vita per questo e forse soltanto così il senso dello spreco, quasi come a lenirne il dolore, viene accettato nell’aver aiutato gli altri a scoprire qualcosa di ignoto. “…Esse saranno il collante della frammentazione di tante cose perdute: sapienza, speranza, amore, sentimenti…” suona quasi come una dichiarazione di resa di fronte all’ineluttabilità grave di una progressiva distruzione di quello che caratterizza il nostro animo gentile. Una frammentazione figlia della spasmodica ricerca di un senso logico che abbia ragione sull’indomabilità dell’esistenza; una ricerca che dia traccia e spiegazione del mistero che ci circonda. La rabbiosa incapacità di accettarne l’insondabilità ci porta a “degradare” tutti i suoi aspetti, i sentimenti, il rispetto per gli altri, la speranza e la fiducia. L’arte può aiutarci a fermare questa deriva per ripartire con rinnovato vigore verso una “pace dei sensi” che dona equilibrio ed armonia, a patto che ci sia da parte nostra il senso di umiltà di capire il limite che ci condanna. Questo limite nel quadro è sintetizzato nello spazio geometrico buio e vuoto che fa da contorno all’infinito della natura (intesa come creato) e dell’arte. Sferule come perle di saggezza, quasi sospese nella loro leggerezza, tradiscono la loro natura sovrumana, per illuminarci di quello che può essere la bellezza e la perfezione di ciò che si nasconde ai nostri occhi dietro l’orizzonte. Il mare impetuoso sembra ammansire di fronte ad uno scenario senza fine, come un palcoscenico, quasi a celebrare l’incanto di tutti i mondi possibili. Una testimonianza neanche troppo celata di un messaggio di speranza dove il bello c’è, esiste ma che forse deve ancora venire in tutta la sua grandezza.

Andrea Bianchi

Info e immagine: Rodolfogentilidamacerata.it

by giovi

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