giovedì 1 dicembre 2005

A tavola con Giacomo Leopardi

Se pensiamo che Giacomo Leopardi non amasse la buona tavola, ci stiamo sbagliando. Iniziamo un viaggio che ci accompagnerà per qualche settimana sulle specialità gastronomiche preferite dal poeta.

Carissimo Signor Padre.

Quando mi giunse la sua del 12, io aveva già poco prima riscossa finalmente la roba portata da Fusello. I fichi e l’olio sono qui applauditissimi e graditissimi e quantunque io in casa non fossi solito di mangiar de’ fichi, adesso, non so come, trovo che sono pure una cosa di un sapore eccellente e ho pensato di salvarne un poco per me e per gli altri.

Così scriveva Giacomo Leopardi al padre da Bologna, era il 20 Febbraio 1826. A febbraio inoltrato non erano certo fichi freschi quelli di cui il poeta parlava, ma sicuramente fichi secchi, probabilmente confezionati come era usanza nelle campagne marchigiane a formare una lonzetta, una specie di salame….un dolce povero, che veniva preparato in autunno. Si confezionava con i fichi dopo averli lasciati seccare al sole o se necessario, nel forno delle case coloniche. Poi i frutti venivano macinati rigorosamente a mano, amalgamati con mandorle tritate, pezzi di noci, mistrà, semi d’anice e sapa, un dolcificante molto usato assieme al miele che veniva un tempo utilizzato per conferire gusto e sapore a cibi e bevande in sostituzione dello zucchero. Dopo essere stato modellato a forma di salamino, veniva avvolto con le foglie di fico e legato con un filo leggero. Si conservava così a lungo, fino a Pasqua e tagliato a fette serviva da merenda e companatico agli scolari.

Di questo dolce, troviamo citazione nel “Dizionario del ghiottone”, dove l’autrice Monica Cesari Sartoni, cita: "Lonza di fico: questa preparazione della lonza ha solo il nome, un tempo nelle campagne marchigiane si coltivavano i fichi in grande abbondanza e i contadini si davano un gran daffare per conservarli in mille modi diversi. Proprio così nasce questo salamotto dolce, avvolto nelle foglie di fico. E’ ottimo tagliato a fette e servito con formaggio pecorino.

La zona di Recanati, città natale del Leopardi era particolarmente conosciuta in passato per la grande produzione di frutta e di fichi e a ricordare il loro ruolo nell’economia della cittadina, si ricorda un blasone popolare “ Recanati granno a longo, de grà ne coje un tonno (piatto tondo). Se non fusser fichi e frutti, morirìa rabbiti tutti”. I fichi sono uno dei frutti dimenticati dell’autunno, per la loro sensibilità all’andamento climatico-stagionale e per la loro deperibilità si trovano sempre più raramente in vendita. Un tempo non lontano, accanto alle case coloniche non mancavano le ficaie, zone dell’orto in cui abbondavano le piante di fico. Le qualità più comuni, come i dottati, i settembrini, i brogiotti, i fioroni, i primaticci, erano molto diffusi ed erano spesso menzionati nei contratti mezzadrili come “regalie” che i contadini davano ai proprietari terrieri.

Erano al tempo stesso un simbolo di povertà al punto che di un pranzo con poche portate si diceva: “Ha fatto le nozze con i fichi secchi…”

by giovi

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